Milano senza pista: il fallimento dell’impiantistica sportiva nella città delle Olimpiadi

Un paradosso tutto milanese

A cura di: Riccardo Villa

Milano, capitale economica del Paese, città dell’innovazione e sede delle Olimpiadi invernali 2026, si trova oggi in una situazione che definire paradossale è poco: non esiste un solo impianto di atletica leggera omologato.

Secondo un report ufficiale della Federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL), nessuna delle cinque principali strutture cittadine – Arena Civica Gianni Brera, Carraro, XXV Aprile, Bicocca Stadium e Giuriati – risponde ai requisiti federali di omologazione.

Eppure, quarant’anni fa, Milano contava ben undici centri sportivi dotati di piste regolamentari. Oggi, la metà di quelle strutture è chiusa, inagibile o priva dei requisiti tecnici minimi per ospitare gare ufficiali.

Una fotografia che racconta, in modo evidente, il declino dello sport di base in una delle città simbolo del progresso italiano.

Il valore dello sport come infrastruttura urbana

La crisi delle piste di atletica a Milano non è solo un problema tecnico o amministrativo. È il sintomo di una miopia politica e culturale che per decenni ha relegato lo sport ai margini delle priorità pubbliche.

In molte città europee, l’attività sportiva è considerata parte integrante della qualità urbana: uno strumento di salute pubblica, coesione sociale e sviluppo del capitale umano.

In Italia, invece, prevale ancora una visione elitaria o episodica: grandi eventi da un lato, mancanza di strutture quotidiane dall’altro.

L’atletica leggera – disciplina formativa per eccellenza, base per ogni sport – dovrebbe essere accessibile a tutti, dai bambini agli atleti agonisti. Ma senza impianti adeguati, l’attività si riduce a corsa nei parchi o allenamenti improvvisati su piste deteriorate.

Un confronto europeo impietoso

I numeri raccontano con chiarezza la distanza che separa Milano dalle principali città europee.

Praga dispone di 84 piste omologate, Berlino di 75, Monaco di Baviera di 64, Londra di 68, Parigi di 52 e Madrid di 47.

In Italia, Roma ne conta appena 15, mentre Milano non ne possiede neanche una.

Mentre le grandi capitali europee garantiscono una rete capillare di impianti sportivi accessibili, Milano – città con oltre 1,3 milioni di abitanti e una vivace comunità di runner e società sportive – non dispone di alcuna struttura omologata per l’atletica leggera.

È un dato che non può essere ridotto a una semplice carenza tecnica: riflette una diversa cultura dello sport e del suo ruolo nella vita urbana.

In Germania, lo sport è parte di un sistema pianificato e sostenuto a livello pubblico. Esistono oltre 66.000 impianti sportivi all’aperto, gestiti da enti locali e aperti alla cittadinanza, in un quadro normativo che tutela il diritto allo sport come elemento essenziale del benessere collettivo.

In Francia, la legislazione prevede che ogni comune con più di 20.000 abitanti debba disporre di infrastrutture sportive di base.

In Italia, invece, la rete impiantistica è frammentata e spesso obsoleta, affidata alla buona volontà delle società dilettantistiche o di operatori privati. La mancanza di un piano nazionale e di investimenti strutturali nel settore sportivo di base ha prodotto un progressivo impoverimento delle infrastrutture pubbliche, specialmente nelle grandi città.

Il paradosso di una città che corre senza pista

Milano è una città che corre: migliaia di runner popolano ogni giorno il Parco Sempione, i Navigli, il Monte Stella e il Parco Nord.

Il running è diventato parte dell’identità urbana, espressione di benessere e socialità. Tuttavia, dietro questa vitalità si nasconde un paradosso: non esiste uno spazio pubblico regolamentato per chi vuole allenarsi in modo professionale.

Gli atleti delle società milanesi sono costretti a spostarsi in comuni limitrofi, come Cinisello Balsamo o Busto Arsizio, per poter gareggiare o semplicemente allenarsi su piste omologate.

Un disagio che penalizza soprattutto i giovani, i tecnici e le scuole, cioè il cuore dello sport di base.

Cause di un declino annunciato

Il degrado dell’impiantistica sportiva milanese non è frutto del caso, ma il risultato di una serie di fattori strutturali e gestionali che si sono accumulati negli ultimi decenni. Le ragioni di questa crisi sono molteplici e intrecciate tra loro, ma possono essere ricondotte a quattro nodi principali: la mancanza di programmazione, la burocrazia, la carenza di manutenzione e l’assenza di una visione metropolitana dello sport.

Mancanza di programmazione

Negli ultimi trent’anni, Milano ha saputo attrarre e gestire grandi eventi internazionali – dall’Expo 2015 alle prossime Olimpiadi invernali 2026 – ma non ha sviluppato in parallelo una politica strutturale di investimento nello sport di base. Gli eventi di scala globale hanno portato infrastrutture temporanee, progetti urbanistici e ritorni economici significativi, ma poco o nulla è stato destinato al potenziamento degli impianti di quartiere o delle strutture utilizzate quotidianamente dai cittadini.

Il risultato è una città con una forte immagine di modernità e innovazione, ma con un sistema sportivo locale carente, disomogeneo e poco accessibile. In altre parole, Milano ha imparato a ospitare il mondo, ma ha dimenticato di costruire le fondamenta per i propri cittadini sportivi.

Burocrazia e vincoli storici

Uno dei maggiori ostacoli alla riqualificazione delle strutture esistenti è rappresentato da una burocrazia eccessivamente complessa e da un sistema di vincoli che spesso paralizza ogni intervento. Molti impianti sportivi milanesi, come la storica Arena Civica Gianni Brera, ricadono sotto la tutela della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici. Ciò significa che qualsiasi modifica strutturale – anche minima, come la sostituzione del manto o l’installazione di nuove attrezzature – richiede lunghe autorizzazioni e iter tecnici spesso incompatibili con la rapidità che l’impiantistica sportiva richiederebbe.

A questo si aggiungono le difficoltà di coordinamento tra Comune, Città Metropolitana e Federazioni sportive, che rallentano ulteriormente i processi decisionali. Il risultato è una sorta di “limbo amministrativo” in cui molte strutture restano bloccate tra la necessità di ammodernamento e l’impossibilità di agire in tempi utili.

Carente manutenzione ordinaria

Un’altra criticità riguarda la scarsa manutenzione ordinaria delle piste e delle strutture accessorie. Negli ultimi decenni, la maggior parte degli impianti è stata oggetto di interventi solo sporadici o parziali, spesso legati a progetti di breve durata o a finanziamenti straordinari. In mancanza di una strategia di manutenzione programmata, molte piste sono progressivamente andate incontro al degrado: superfici usurate, corsie danneggiate, attrezzature obsolete, spogliatoi inadeguati.

La mancanza di risorse economiche dedicate e di un piano pluriennale di gestione ha trasformato gli impianti in strutture fragili, incapaci di rispondere alle esigenze di chi pratica atletica in modo continuativo o agonistico. La conseguenza è una perdita di attrattività per le società sportive e per i giovani atleti, che spesso sono costretti a spostarsi in altri comuni per allenarsi in condizioni adeguate.

Assenza di una politica sportiva metropolitana

Infine, pesa l’assenza di una visione metropolitana dello sport. Ogni municipio o ente locale tende a operare in autonomia, con progetti scollegati tra loro e senza una strategia condivisa. Ciò genera disparità territoriali e inefficienze nella gestione degli impianti.

Una città come Milano, al centro di un’area urbana che supera i tre milioni di abitanti, avrebbe bisogno di una politica sportiva coordinata a livello metropolitano: un piano unico che integri sport, urbanistica e welfare. Solo così lo sport può diventare parte integrante della qualità urbana, non un servizio residuale affidato alla buona volontà dei singoli.

Un’occasione olimpica da non perdere

L’assegnazione dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali 2026 rappresenta un’occasione unica per ripensare la funzione dello sport a Milano.

La “legacy olimpica” – cioè l’eredità lasciata ai cittadini dopo l’evento – dovrebbe tradursi non solo in impianti per sport invernali, ma anche in un piano di rilancio dell’impiantistica di base.

Un progetto di rigenerazione sportiva urbana potrebbe restituire ai quartieri strutture moderne, accessibili e sostenibili:

. Ristrutturare e omologare gli impianti esistenti.

. Integrare nuovi spazi sportivi nei piani di rigenerazione urbana.

. Creare un osservatorio permanente sull’impiantistica milanese.

. Favorire partenariati pubblico-privati per la gestione degli impianti.

Lo sport può e deve essere considerato un’infrastruttura sociale, al pari di scuole e trasporti.

Verso una nuova cultura sportiva urbana

La mancanza di piste di atletica omologate a Milano non è una semplice anomalia tecnica. È un segnale culturale.
Rivela un Paese che celebra i propri campioni ma non costruisce i luoghi in cui formare le generazioni future.

Investire nello sport significa investire nella salute pubblica, nella coesione sociale e nella qualità della vita urbana.

Significa offrire ai giovani alternative concrete alla sedentarietà, costruire comunità e restituire alla città uno spazio pubblico di incontro, disciplina e partecipazione.

Milano è una città che corre, ma senza pista.
Il simbolo di una modernità che rischia di dimenticare le proprie basi.

Rendere nuovamente accessibili e omologati gli impianti di atletica non è solo una questione sportiva, ma un atto di civiltà urbana.

Le Olimpiadi del 2026 dovrebbero lasciare in eredità non soltanto medaglie e infrastrutture d’élite, ma un nuovo modo di concepire lo sport: come diritto, come servizio pubblico, come parte integrante della città del futuro.